Il fango resta sopra il bianco velo,mentre la piazza mormora sommessa;non è virtù la spalla che s'è flessa,né il rito antico riconcilia il cielo. L’onore è un ferro freddo, un cupo steloche punge la coscienza già rimessa;la colpa non è grazia, ma è promessadi un lungo inverno e di un eterno gelo. S’incrina la memoria del perdono,

In questo natal, che ’l mondo ancor martira,fra ’l sangue e ’l pianto de la gente assorta,non vedi tu che ’l ciel la via s’è tortane l’ira de la guerra che delira? Vergogna punge l’alma che s’ammiramentre la pace al cor par esser torta,e ogni speme in terra è fatta assortadentro dal fuoco che l’umanità tira.

Il rumore della macchina del tempo era un lamento metallico, un’agonia di ingranaggi e circuiti che faceva vibrare l’aria intorno a Leo. Chiuse gli occhi, stringendo con forza il pugno e tenendo tra le dita un pacchetto di semi di girasole. La data sul pannello di controllo era precisa: 16 settembre 1985. Il giorno in cui la sua vita aveva deragliato.

Il caldo delle Barbados non è mai riuscito a sciogliere l’acciaio che Louis Winthorpe III porta nel petto al posto del cuore, né a spegnere il fuoco inquieto negli occhi di Billy Ray Valentine. Trent’anni sono un tempo lungo per chi ha costruito un impero sul rum e sul sole, ma restano un battito di ciglia per chi ha ancora un conto aperto con il proprio sangue.

Il sole caldo e salmastro di Taranto accarezzava il volto di Chiara Lombardi, una giovane studiosa di storia antica, il cui destino sembrava intrecciarsi con le vicende di una città sospesa tra mito e realtà. L’aria era densa di echi del passato, e il porto, un tempo fulcro di commerci e battaglie, ora pulsava di una vita diversa, più quieta. Chiara, con i capelli raccolti in una coda e gli occhi castani che brillavano di curiosità, trascorreva le sue giornate nell’Archivio Storico Comunale, dove le sue mani sfogliavano pagine ingiallite che narravano di un tempo in cui Taranto, la “capitale della Magna Grecia”, aveva osato sfidare la nascente potenza di Roma.

Il palazzo di Palermo odorava di incenso, datteri secchi e pergamene.Ammar al-Muzzaffar sedeva su un seggio che più che trono era tavolo da guerra: le mappe scolpite sul legno mostravano coste, mari, rotte, come se il mondo intero fosse già stato inciso nella sua mente. Attorno a lui, giudici e capitani discutevano in lingue diverse, ma sempre sotto la sua voce ferma.

Il sole cocente del Texas batteva implacabile sul ranch di Willow Creek, una distesa di terra rossa e polverosa dove i cavalli purosangue dei Weaver galoppavano liberi. Era qui che Amelia Weaver, ventiquattro anni, era stata trovata morta una calda mattina d’agosto, nella sua lussuosa casa in stile coloniale. Il suo fidanzato, Brad Sterling, un broker rampante di Dallas, aveva chiamato lo sceriffo, affermando di averla scoperta senza vita, in un lago scarlatto sul pavimento di mogano.

David Greco fissava la foto sul tavolo.Un volto familiare, troppo familiare. Occhi scuri, un sorriso che adesso gli bruciava dentro. Elena. La ricordava? Non davvero. Non come si ricorda una persona cara. La ricordava come un sogno: frammenti, un lampo, una voce strozzata. Eppure sapeva una cosa con assoluta certezza: era stato lui a ucciderla. Aveva premuto il grilletto. Ma non sapeva perché.

Il crepuscolo siciliano sporcava il cielo di rosa bruciato, e l’odore di zagara si mescolava alla puzza dei pescherecci che rientravano lenti, sputando fumo come vecchi tossici. Sulla spiaggia due cugini correvano scalzi, Luigi e Salvatore, sudati, graffiati, pieni di sabbia. Urlavano, si rincorrevano, si giuravano fratellanza eterna senza capire che certe promesse l’infanzia le scrive a matita. Luigi guardava le divise dei Carabinieri che ogni tanto apparivano in paese come apparizioni inamidate.

Il buio della notte era un velo denso che si stendeva sulla città, ma per Tommaso non era mai stato un mistero. «È il paradosso di Olbers, no?» mormorò, sfiorando con la mano quella di Aurora. «L’universo si espande, e la luce delle stelle più lontane non è ancora arrivata fin qui. E poi c’è il redshift… lo spostamento verso il rosso».

I pedali della bicicletta di Aurora giravano veloci sul pavé di Saronno, un ritmo che scandiva l’inizio di un’altra giornata lavorativa. La sua routine era meticolosa, quasi un rituale: la stessa strada, la stessa ora, gli stessi dettagli che si ripetevano. Il panettiere che apriva la sua bottega, l’edicolante che sistemava le riviste, e quell’uomo, sempre lo stesso, che con cura maniacale si prendeva cura dei fiori davanti al piccolo negozio di antiquariato.

Certi elementi, se isolati e puri,han veleno nel cuore, astri fatali:il sodio arde con furia fra i metallie il gas di cloro ha fumi e odori oscuri. Ma il chimico li mescola e li cura,due solitudini rese più vitali,e al palato si svela in fini salil'equilibrio che salva ogni creatura. Il paradosso è un cibo quotidiano,

L’uomo si è sempre chiesto quale fosse il suo posto nell’universo. Ma mai come in quel momento. La sonda Aletheia aveva trasmesso per anni un brusio incomprensibile, archiviato come rumore statistico. Finché Lyra Kaine, giovane astrofisica ossessionata dai segnali “irregolari”, non decise di spenderci la vita. Era piegata sul terminale, occhi arrossati e brillanti d’eccitazione. Accanto a lei, il professor Nadir Hale, suo mentore, scuoteva il capo.

Nel cuore di Londra, il vapore umido e la nebbia fitta avvolgevano le strade. Un odore pungente di carbone e pioggia bagnava l’aria. Era un odore familiare a Johann Jacob Schweppe che, dal suo elegante studio in Fleet Street, guardava fuori dalla finestra, il mento appoggiato sul palmo della mano. I suoi occhi, acuti come quelli di un falco, scrutavano la folla che si muoveva in un flusso ininterrotto, un fiume di cappelli a cilindro e ampi vestiti.

Il capitano Enrico Valenti contò i suoi uomini per la terza volta. Erano dodici, seduti su dodici casse di munizioni, dodici sagome scure contro il bianco glaciale dell’hangar sotterraneo. Ognuno proiettava un’ombra lunga, come se il tempo stesso esitasse a lasciarli andare. Erano le 03:00. «Ricordate il mantra,» disse Valenti, la voce graffiata, più dal metallo che dall’emozione. «Un’ora. Un solo obiettivo.

Ne avevo parlato già qui, ma ora ci sono aggiornamenti. Qualche settimana fa, sul sito ufficiale del PIF, è apparsa una notizia apparentemente innocua: «Il Fondo ha rivisto la propria strategia di allocazione per privilegiare asset liquidi e investimenti a basso rischio». Tradotto dal burocratese: hanno finito i soldi facili. Sì, proprio loro. Quelli che due anni fa sembravano pronti a comprarsi il calcio mondiale a suon di assegni da 200 milioni l’anno.

Trasposizione non autorizzata del concept album più famoso di sempre La prima pietra Pink non ricordava il volto di suo padre. Ne conosceva solo la voce distorta che arrivava da lettere sbiadite, e il sorriso congelato nelle fotografie mandate dal fronte. La guerra lo aveva inghiottito senza restituirlo, lasciando al bambino soltanto un silenzio che pesava come piombo.Sua madre lo teneva stretto, troppo stretto.

L’aria rarefatta di Marte, rossastra e silenziosa, si avvolgeva attorno al rover Perseverance.Un brivido glaciale, inspiegabile, percorse la spina dorsale della dottoressa Nora Finch, capo missione della sezione Ricerca Anomalie dell’ESA. Fissava il monitor: un dato anomalo balzato fuori dai sensori di risonanza temporale, un progetto pilota che aveva installato di sua iniziativa e che le era costato mesi di estenuanti liti burocratiche.

Parte 1Parigi, 2025. Jean-Luc Dubois, storico e fervente ammiratore di Napoleone Bonaparte, si aggira per le sale del Louvre, i suoi occhi celesti carichi di una malinconia che il tempo non ha saputo mitigare. Le gesta dell'Imperatore, la sua visione di un'Europa unita sotto il vessillo francese, lo tormentano come un sogno infranto. Il Congresso di Vienna, quella "infame congrega di reazionari" come amava definirla, era stato il chiodo nella bara delle sue speranze.

Il silenzio degli abissi avvolgeva il relitto del Titanic: una tomba di metallo e sogni infranti.La luce fioca del sommergibile RV Triton, gioiello tecnologico della spedizione Abyssal Truths, tagliava l’oscurità come una lama d’argento, rivelando un paesaggio spettrale. Il Dr. Jonathan Reeve, oceanografo e capo della missione, osservava il monitor con un’intensità quasi dolorosa.Accanto a lui, la giovane ricercatrice Aria Mendoza teneva gli occhi fissi sulle immagini; il suo respiro leggero tradiva un’emozione trattenuta.

Luca e Giulia si muovevano tra le vie affollate di Roma come due pesci nell’acqua torbida del crimine di strada.Luca, un dandy della truffa con un abito di sartoria e una sigaretta sottile tra le dita, aveva l'eleganza consumata di chi ha visto più inganni che albe.Giulia, più giovane e con un'energia selvaggia, era la sua spalla: capace di improvvisare una scena lacrimevole o una recita di alta classe con la stessa facilità con cui cambiava umore.

L’aria di Saronno nel 2077 non era più l’effluvio dolce di tiglio e glicine che Matteo ricordava della sua infanzia. Ora, era un velo grigio, denso di polveri sottili e disperazione. Le città si erano espanse come metastasi tentacolari, inghiottendo il verde, soffocando ogni traccia di vita naturale sotto colate di cemento e acciaio. Eppure, nel cuore di questa desolazione, il Polo Innovazione Saronno brillava come un faro solitario: la sua cupola di vetro e acciaio rifletteva il sole morente, promettendo una speranza che sembrava ormai un miraggio.

Il vento gelato di Europa ululava contro le cupole smerigliate della Cittadella Bianca, ma nel laboratorio della dottoressa Naima Khelil regnava un silenzio denso, rotto solo dal ronzio degli apparati quantistici. Naima, figura esile con occhi che riflettevano la luce distante delle nebulose, era china sul display olografico. Da anni inseguiva la “Voce dell’Universo”: non un problema da risolvere, ma l’ultima parola del cosmo su sé stesso.

Il risveglio fu brusco, come emergere da un sonno profondo e torbido. Luca si ritrovò disteso su un letto di foglie umide, la schiena indolenzita. Si mise a sedere, scrutando l'intorno. Alberi altissimi si ergevano fitti, le loro chiome oscuravano quasi completamente il cielo, lasciando filtrare solo radi fasci di luce verdastra. Non riconosceva quel luogo. Non ricordava come ci fosse arrivato.

Il neon sfarfallava pigramente sul monitor di Helen, proiettando ombre tremolanti sul suo volto stanco. L'aria condizionata, come la sua concentrazione, sembrava aver abbandonato la postazione ore fa. Occhi arrossati fissavano righe di codice che danzavano come miraggi, ogni carattere una potenziale mina. Il Global Routing Core (GRC), il cuore pulsante di OmniNet Solutions, attendeva il suo tocco finale. Settimane di notti insonni per quella maledetta patch contro una vulnerabilità zero-day.